REGIA: JORDAN PEELE

ATTORI: DANIEL KALLUYA, KEKE PALMER, STEVEN YEUN, MICHAEL WINCOTT

REPERIBILITÀ: ALTA

GENERE:  SCI FI-FANTAHORROR

ANNO: 2022

Jordan Peele è un promettente regista statunitense che per adesso con i suoi lavori (“Scappa-get out“, “Noi”-“Us“) non ha mai sbagliato un colpo e questo nuovo “Nope” è un altro tassello da aggiungere ai suoi successi, con questo nuovo lavoro il regista newyorkese decide di riscrivere le regole dello sci-fi e dei film a tema “disco volante” o invasione aliena, tutto nella sua ottica sempre molto personale e innovativa. La sceneggiatura a cura dello stesso Peele è molto originale, la famiglia Haywood vive addestrando cavalli per il mondo dello spettacolo e del cinema, un giorno Otis senior muore in una maniera assurda davanti agli occhi di suo figlio a causa di una moneta caduta a tutta velocità dal cielo. Otis jr. ed Emerald ereditano l’attività del padre, (non mancano contrasti fra i due) ben presto arrivano problemi economici, un tizio di nome Jupe con un passato da bambino-attore si propone di comprare i cavalli del ranch e organizza un incontro con i due. La notte stessa però i cavalli sono spaventati da una strana presenza, un disco volante che divora i poveri animali, a questo punto rattristati dalla perdita dei cavalli ma allo stesso tempo esaltati dall’idea di poter ottenere denaro e fama grazie all’ufo che circola intorno al loro ranch decidono di sfruttare la cosa al massimo con l’aiuto di un amico di nome Angel dipendente di una ditta di materiale elettronico il quale li aiuta ad installare un videocamera sul tetto. Inizierà una lotta fra gli Otis e la loro “squadra” ed il misterioso e minaccioso ufo il quale non si limiterà solo a svolazzare nei cieli, sarà uno scontro che coinvolgerà l’intera zona compreso il parco a tema western di Jupe, come andrà a finire?  Il film di Peele offre una personalissima rivisitazione in chiave moderna del vecchio tema ufo, non più un oggetto volante metallico e freddo abitato da astronauti alieni con tute argentate ma una vera e propria creatura predatrice  che letteralmente inghiotte le proprie vittime in un risucchio che non lascia scampo. Vi sono alcuni che hanno ipotizzato (come detto anche in una intervista da Peele stesso) che il film può anche essere letto come una metafora del coronavirus, una minaccia sconosciuta che incombe su di noi come il disco volante che da un giorno all’altro arriva a turbare le vite dei protagonisti, certamente questa è una lettura interessante ma io preferisco interpretarlo come una rivisitazione in chiave moderna del vecchio mito ufo. Peele mette subito un incipit spiazzante che ci mostra la furia omicida di uno scimpanzè su un set cinematografico cromaticamente composto da un predominante bianco asettico sul quale il sangue risalta a dovere, un incipit che porta lo spettatore a chiedersi che aggancio abbia con il resto della storia, a porsi domande che solo in seguito avranno risposte, d’altronde Peele non è mai stato un regista di film scontati e banali. Si potrebbe anche fare un parallelismo fra l’animalesca violenza della scimmia e quella dell’ufo dato che anch’esso sembra pervaso da una cieca violenza che (quasi) tutto inghiotte, quindi troviamo un animale terrestre e uno extraterrestre preda di una furia cieca con la differenza che il regista rende la prima più umanizzata con la sequenza dove la scimmia avvicina il suo pugno a quello del ragazzo. Gli effetti di Guillame Rocheron sono ottimamente realizzati ed esplodono nel finale, dove gli effetti sono una vera gioia per gli occhi, Peele spesso predilige inquadrature ampie dove mostrare anche la bellezza e vastità di un luogo un po’ sperduto lontano dal caos cittadino, un cielo azzurro che nasconde nuvole strane rifugio di creature aliene. I dialoghi non sono mai banali, e c’è sempre un’aura di attesa, di dramma incombente per gran parte della pellicola, e una critica verso la ricerca del profitto in ogni situazione (i due fratelli che cercano notorietà grazie all’ufo sul ranch) cose queste che generalmente non troviamo negli sci-fi ma che solo un grande autore come Peele riesce ad incastrare alla grande nella sceneggiatura. Pelle riesce a rendere autoriale anche uno sci-fi infatti ci sono spesso situazioni ed inquadrature dove l’autorialità e la visionarietà emergono come ad esempio la statua del cavallo rampante che giunge come un ariete cadendo dal cielo rimanendo poi incastrata verticalmente, o sempre la stessa che precedentemente fa da arricchimento quando il gruppo è all’aperto rendendo l’inquadratura un po’ surreale, che dire poi della decisione di suddividere il film in una serie di “capitoli”? E le inquadrature dell’interno dello “stomaco” dell’ufo che lo rendono una vera bestia dello spazio? Tutte chicche che ci regala il nostro newyorkese.

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