ARRIVA AL CINEMA C’ERA UNA VOLTA IL BEAT ITALIANO DI PIERFRANCESCO CAMPANELLA
Il cineasta romano (di origini russo-pugliesi) Pierfrancesco Campanella coinvolge i protagonisti di una stagione musicale irripetibile in “C’era una volta il beat italiano! Distribuito da Parker Film, infatti sarà nelle sale cinematografiche a partire dal 21 novembre 2024 il nuovo docu film del regista, che già qualche anno fa aveva riscosso molti consensi con il suo “I love… Marco Ferreri“, recentemente trasmesso su Retequattro. “C’era una volta il beat italiano” intende essere l’affettuoso omaggio ad un periodo che ha segnato la storia. Gli anni ’60 hanno rappresentato un’epoca di grandi fermenti e rinnovamento sociale, con un decisivo cambio di rotta a livello mondiale per quanto riguarda ideologie, mode, costume, valori. Soprattutto quel periodo ha espresso una grande esigenza di libertà dalle convenzioni stereotipate improntate al perbenismo e all’ipocrisia. Anche la musica si è adeguata con nuovi suoni e testi più impegnati. In Italia la cosiddetta “beat generation” è stata rappresentata da un gruppo di artisti decisamente innovativi, con canzoni che hanno lasciato un impronta indelebile nell’immaginario collettivo. In questo lavoro ne parlano un gruppo di personaggi che il genere beat lo hanno vissuto, per un’analisi lucida e ironica allo stesso tempo, evitando compiacimenti nostalgici. Molti cantanti i cantanti intervistati da Campanella: da Don Backy a Ricky Gianco, da Renato Brioschi dei Profeti a Pietruccio Montalbetti dei Dik Dik, da Livio Macchia dei Camaleonti a Gianni Dall’ Aglio dei Ribelli, da Donatella Moretti a Mario Pavesi dei Fuggiaschi, a Giuliano Cederle dei Notturni. Poi c’è Franco Oppini, in quegli anni facente parte dei Gatti di Vicolo Miracoli, massima espressione del movimento “Verona Beat“. Fondamentale la presenza di Mita Medici, la prima “ragazza del Piper” che ha rappresentato la svolta per un’intera generazione di ragazze desiderose di emanciparsi dal secolare predominio maschile. Significativo l’apporto di Rosanna Fratello, che all’epoca del beat ancora non cantava ma sognava ad occhi aperti, sperando di emulare la carriera dei suoi idoli Patty Pravo, Rita Pavone e Caterina Caselli. “C’era una volta il beat italiano” è inoltre impreziosito dai contributi di vari addetti ai lavori, come Fernando Fratarcangeli (direttore della rivista di collezionismo musicale Raropiù), Massimiliano Canè (autore della trasmissione Techetechetè in onda su Raiuno), il press-agent Niccolò Carosi, i parolieri Alberto Salerno e Claudio Daiano, i musicisti Natale Massara, Mauro Goldsand e Rodolfo Grieco, discografici Federico Monti Arduni, Italo Gnocchi e Andrea Natale, l’operatore culturale Franco Mariotti, la conduttrice tv Morena Rosini (già nel gruppo Milk and Coffee), il regista Luca Verdone e gli esperti di beat Francesco Lomuscio, Federico Gnocchi e Carlo Lecchi (presidente della AVI, associazione vinile italiana). Infine l’estroso Ivan Cattaneo che il beat lo ha rilanciato negli anni ’80 con i suoi album di cover (in particolare Italian Graffiati). E non finisce qui, perchè “C’era una volta il beat italiano” rappresenta soltanto il primo capitolo di una trilogia di docufilm a carattere musicale che, prodotta da Sergio De Angelis per la Parker Film si completerà attraverso due lavori rispettivamente dedicati al rock progressivo e alla dance italiana.
La sinossi:
La musica degli anni ’60 fu lo speciale megafono attraverso cui molti dei messaggi e delle tematiche avanzate dai giovani di allora fecero il giro del mondo. E così sulle note delle canzoni dei Beatles, di Bob Dylan e di Joan Baez gran parte dei ragazzi del pianeta iniziarono a protestare contro la guerra, la società dei consumi, l’imperialismo, e il razzismo. Nacque così il fenomeno musicale del Beat italiano, durato grosso modo dai primi anni ’60 sino alla fine del decennio. Massimi esponenti furono gruppi come Equipe 84, Rokes, Camaleonti, Nomadi e Giganti, e soprattutto le due “regine del Piper” Caterina Caselli e Patty Pravo. Attraverso una carrellata di interviste mirate, si ripercorrono i fasti di musica e costumi di quel magico periodo.
Note del regista:
Il beat è un genere musicale nato all’inizio degli anni ’60, a seguito di diverse contaminazioni sonore del rock ‘n roll, dilagando in tutto il mondo a partire dall’Inghilterra, per merito soprattutto dei Beatles e dei Rolling Stones. In Italia il Beat iniziò a diffondersi con le cover incise da gruppi come l’ Equipe 84, i Nomadi, i Giganti, i Dik Dik, i Camaleonti, i Corvi, i Ribelli e a solisti come Lucio Dalla, Patty Pravo e Caterina Caselli, diventando un vero e proprio fenomeno di massa. Le classifiche di vendita e i programmi televisivi hanno enfatizzato quel tipo di musica, grazie anche all’arrivo nella nostra penisola di artisti stranieri come i Rokes di Shall Shapiro i Primitives di Mal e i Motowns di Lally Stott. In un secondo momento alle traduzioni di successi esteri si aggiunsero brani, spesso con tematiche sociali, scritti direttamente da autori italiani come Gian Pieretti e Francesco Guccini. Erano anni in cui si creò uno spartiaque politico e culturale, segnato da mode come il proliferare dei capelloni, il difforndersi del movimento hippie e l’invenzione della minigonna, e da eventi emblematici come la guerra nel Vietnam e la conquista dello spazio. Le contestazioni studentesche e il femminismo certificavano rispettivamente le ribellioni dei giovani, che rivendicavano maggiore indipendenza e delle donne che non volevano più sentirsi trattate come oggetti nelle mani del maschio prevaricatore. L’intento prioritario era abbattere le ipocrisie, le convenzioni, il perbenismo e le finte certezze dei valori sociali ormai scricchiolanti. Le canzoni dell’epoca riflettevano la rivoluzione culturale in atto seppure sottoforma di canzone. Basti pensare a “qui e là” di Patty Pravo inno alla libertà di vivere fuori dagli schemi. O ad altri brani dai titoli emblematici di divulgazione del nuovo pensiero come “la bambola” della stessa Pravo, “nessuno mi può giudicare”, “come potete giudicar”, “che colpa abbiamo noi”, “c’è chi spera”, “la rivoluzione”, “Dio è morto”. E mentre in America c’erano fenomeni mondiali come il mitico raduno di Woodstock, un vero e proprio happening musicale con artisti del calibro di Jimi Hendrix, Janis Joplin, Santana, e Joan Baez, in Italia nascevano luoghi di aggregazione giovanile come il Piper club e altre discoteche, oltre a festival e trasmissioni radiofoniche di culto come “Bandiera Gialla” e “Per voi giovani”. Un’epoca d’oro per lo spettacolo che molti rimpiangono e che negli anni ’80 ha dato luogo a film revival come “Sapore di mare” o dischi revival come quelli realizzati da Ivan Cattaneo. Questo mio lavoro intende essere una lucida testimonianza di quell’epoca straordinaria, attraverso interviste a coloro che a vario titolo ne furono testimoni. Senza retorica ma col giusto distacco e senso critico scevro da mitizzazioni e nostalgie gratuite.