Capitolo 13
La mattina dopo appena giunto sul set, Lorenzo fu raggiunto da un’agitatissima Orietta. La donna lo condusse nella sartoria, dove trovò una brutta sorpresa. Diversi vestiti di scena erano stati strappati. Alcuni in maniera irreparabile. In un angolo, c’era ancora la sagoma del corpo di Simona disegnata col gesso dalla polizia. Al regista salì un grumo acido alla gola, e sentì l’improvvisa necessità di uscire da quella stanza. Disse a Orietta di tenere momentaneamente segreta la cosa. Avrebbero avvisato il commissario nel pomeriggio. Se lo avessero fatto subito, rischiavano di perdere un’altra giornata di lavoro e non potevano permetterselo. Poco dopo, quando stavano nel bel mezzo di una ripresa, una voce sgradevole risuonò nell’aria. “Eccoti qua grandissimo figlio di puttana!” Lorenzo si voltò e incrociò lo sguardo cattivo di Fernando Rozzi. “Che cosa c’è Fernando? Qual è il problema?” “Il problema sei tu regista di merda! Mi hai tolto un’altra scena.” “Si Fernando… l’ho alleggerita. Risultava troppo pesante.” “Ah si? Solo io ero pesante? Giacomo mi risulta che sia rimasto… come pure la scena… quella mezza calzetta del tuo aiuto si è permesso di dirmi che ero stato tagliato.” “Certo Fernando, sono stato io a farlo e lui ha seguito le mie direttive. I problemi che hai, e stai creando su questo set sono troppi. Ritardi… assenze ingiustificate… sei arrivato più volte ubriaco e impossibilitato a lavorare… vuoi che continui l’elenco?” “Allora sbattimi fuori se le cose stanno così!” “Io l’avrei fatto da un pezzo… ma il produttore non è d’accordo, quindi ho le mani legate. Solo tagliandoti le scene posso lavorare più tranquillo… a meno che non cambi registro Fernando… ma anche stamattina, a giudicare dall’aspetto e dal tuo biascicare le parole, non mi sembri lucidissimo.” “Vaffanculo… me la paghi Lorenzo Torri… questa carognata me la paghi cara… vedrai!” Quando l’attore se ne andò, Lorenzo chiese a Saverio se quel pazzo ubriacone lo avesse aggredito quando lui non era presente. L’altro lo tranquillizzò, dicendo che aveva dato solo in escandescenze e nulla di più. Ripresero a lavorare, poi il regista telefonò al commissario Baldoni per comunicargli l’atto vandalico compiuto in sartoria. Era quasi certo che a compierlo fosse stato lo stesso maniaco. Probabilmente qualcuno del set… pensò con un brivido freddo di paura. Poco dopo, mentre si stava dirigendo verso casa, squillò il cellulare. Era Stefano, che gli ricordava la serata celebrativa che gli aveva organizzato un circolo culturale, presso il più prestigioso cinema della città. Tra l’altro, avrebbero presentato anche un libro a lui dedicato, scritto da un famoso critico cinematografico. Se ne era completamente dimenticato, e partecipare a quella serata era l’ultima cosa di cui avesse bisogno, ma il suo lavoro richiedeva anche quella parte meno amata. Giunto a casa, scese dall’auto per aprire la porta del garage. Dal palazzo di fronte, Nicola Morico usciva con il suo cagnolino al guinzaglio, per la solita passeggiatina. “Buonasera”, disse sorridendo, mentre il barboncino bianco addocchiato l’albero giusto, alzò la zampetta e innaffiò l’erba intorno. Lorenzo rispose frettolosamente al caloroso saluto dell’anziano vicino e si allontanò. Non gli piaceva quell’uomo. In più di un’occasione, lo aveva sorpreso da una finestra o dal balcone, guardare fisso in direzione del suo appartamento. Anche per strada spesso, lo aveva visto con la coda dell’occhio rigirarsi a guardarlo. Pensava anche di chiedergli che cosa volesse… ma con quale accusa? Avrebbe rischiato di passare per mitomane. L’unica cosa era tenerlo educatamente alla larga, poiché probabilmente si trattava di una persona anziana e sola, che voleva soltanto stringere amicizia e fare ogni tanto due chiacchiere.
Non poteva dargli spago, avrebbe rischiato di trovarselo sempre fra i piedi. L’unica cosa che lo inquietava leggermente, era il fatto che più lui era freddo e scostante, più l’altro era cordiale e sorridente. Per un momento si sentì quasi in colpa per quei pensieri, ma non era colpa sua, se amava la solitudine e caratterialmente era un po’ orso. I pochi e importanti affetti che aveva, gli bastavano a riempirgli la vita. Aperta la porta di casa, trovò sul pavimento una busta che qualcuno aveva fatto scivolare da sotto. La raccolse, e con un certo timore la aprì. Lesse una specie di filastrocca scritta con lettere ritagliate da giornali e incollate. “C’ERA UNA VOLTA UN REGISTA DEL TERRORE CHE NON SAPEVA COSA FOSSE IL DOLORE. POI FINALMENTE GIUNSE QUALCUNO CHE GLIENE FECE PROVAR PIÙ DI UNO. IO SONO LA MORTE E DI CHI AMI DECIDO LA SORTE. PERÒ STAI TRANQUILLO ARRIVERÀ IL MOMENTO IN CUI PORRÒ FINE ANCHE AL TUO TORMENTO.” Un brivido di paura gli attraversò la schiena. Questa volta lo minacciava direttamente. Forse si trattava di uno scherzo. Magari qualche imbecille che approfittando di quello che stava accadendo, si era sentito spiritoso. Una cattiveria di Fernando Rozzi? Forse… poteva anche essere… ma in cuor suo sentiva che non era così. Quella lettera l’aveva mandata l’assassino maniaco che lo stava perseguitando. E non credeva affatto che quell’attore ubriacone e isterico fosse quella persona. Andò in soggiorno e si versò un cognac. All’improvviso squillò il telefono facendolo trasalire. Era Marco. Il musicista, gli comunicava che aveva concluso la registrazione delle musiche e quando voleva, poteva ascoltarle. Accordatosi con lui, lo salutò e si sedette in poltrona a gustarsi il cognac. Mentre lo sorseggiava, pensava nuovamente a chi potesse odiarlo a tal punto, ma comunque era inutile. Come aveva più volte ripetuto al commissario, sapeva di non avere nemici, e in cuor suo non gli sembrava di essersi comportato male con qualcuno da portarlo ad avercela così tanto con lui. Ormai era chiaro che fosse lui la chiave di tutto. A parte Fernando che non riusciva a vedere come spietato assassino, chi delle persone che ruotavano intorno a lui poteva esserlo? Sua cugina? Corrado o Gianni? Sorrise a quel pensiero, immaginando anche un’ipotetica confessione dell’amico. “Fi… fono io l’affaffino… adeffo ti uccido Lorenzo.” Erano praticamente la sua famiglia… follia pura, il solo immaginarlo. Teresa… Stefano o Marco? Assurdo. Anche loro li conosceva da anni. Praticamente dal primo film. Quel successo aveva portato fortuna anche a loro… perché odiarlo? La cosa non aveva senso, anche se in più di un’occasione, gli era sembrato che Marco lanciasse ogni tanto, qualche battuta che nascondeva una sottile invidia nei suoi confronti. D’altronde le vendite dei suoi cd, non erano state sinora esaltanti, e a parte lui, non aveva realizzato colonne sonore per altri registi, tranne alcuni cortometraggi sperimentali visti da quasi nessuno. Perché odiarlo fino a quel punto? No… non aveva senso. Poteva solo ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per lui. Grazie ai suoi film era entrato nel mondo del cinema… se non riusciva a sfondare era solo colpa sua. Saverio? In fondo non lo conosceva. Chi era quel ragazzo? Bravo e rispettoso sul lavoro… ma per lui in fondo un totale sconosciuto. Poi sorrise anche a quel pensiero. No… anche quella era un’idea assurda. Si trattava di qualcun altro. Magari un pazzo, che poteva avere incontrato una sola volta nel suo cammino… facendogli scattare qualcosa nella testa. Già… poteva veramente essere così, anche se era lui per primo a crederci poco. Prese il telefono e chiamò Baldoni. Doveva dirgli subito della lettera.
Capitolo 14
Anna non riusciva a prendere sonno. Continuava a pensare a tutto quello che stava accadendo a suo cugino. Era terrorizzata, al solo pensiero che quel maniaco gli avesse fatto del male. Chi poteva odiarlo a tal punto. Lorenzo era sempre stato una persona corretta e leale. Lo conosceva benissimo… ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Anche sul lavoro, si era fatto un nome procedendo a piccoli passi. Cortometraggi realizzati con budget di cento euro massimo e tanta fantasia. Anche lei a volte, aveva recitato in quei piccoli horror amatoriali. Piano piano, la volontà e la professionalità, lo avevano ripagato di tanti anni difficili. Non aveva mai sgomitato per ottenere qualcosa in più, che non fosse solo frutto del suo lavoro. No… si trattava di un folle e basta. Più ci pensava e più l’ipotesi di un fan malato e ossessionato dai suoi film, gli sembrava attinente. Si diresse in cucina e si versò dell’acqua da una brocca che teneva in frigorifero. Quando portò il bicchiere alle labbra, un rumore attirò la sua attenzione. Lo appoggiò sul lavandino e andò a vedere. Proveniva dalla terrazza. Un brivido di sottile paura gli attraversò la schiena. Si diede mentalmente della sciocca. A forza di pensare ai maniaci, si era lasciata suggestionare. Entrò nel salone e aprì la porta finestra che dava sulla terrazza. Di nuovo il rumore. Come un leggero raschiare. Quando vide la causa sorrise e si chinò a fare una carezza a Puffino, il gatto siamese della sua vicina. Non era la prima volta che il felino, scavalcava il cancelletto divisorio e s’introfulava da lei. Lo prese in braccio e dolcemente lo ricondusse nella sua terrazza. Rimase alcuni secondi appoggiata al davanzale, poi l’aria gelida della notte la convinse a rientrare. Si era anche fatto tardi e sonno o no, doveva imporsi di dormire, o il giorno dopo in classe sarebbe stata uno straccio.