Capitolo 46
La notizia del suicidio di Fernando Rozzi, tenne banco su tutti i Tg. Lorenzo, aveva trascorso i due giorni successivi al ritrovamento del corpo, blindato in casa o in sala montaggio. Non rilasciò alcuna intervista a proposito della faccenda. Voleva solo completare il prima possibile il film, e poi partire per un lungo viaggio. Aveva assolutamente bisogno di staccare da tutto. Tornato dal lavoro, una sera decise di fare quello che da tempo rimandava. Andare a trovare il suo vicino. Questi, una volta trovatosi Lorenzo di fronte, fu colto da un profondo imbarazzo. Il regista riuscì a metterlo a suo agio. L’uomo gli raccontò di sua moglie… della sua scomparsa… la vecchiaia… la solitudine, ma gli raccontò soprattutto di suo figlio Mario. Anche lui morto anni prima in un incidente stradale. Gli mostrò le fotografie. Gli assomigliava davvero tanto. Il regista provò una profonda tenerezza per quell’anziano. Voleva solo conoscerlo, ed entrare nella sua vita con l’affetto di un nonno. Certo, si rendeva conto di avere esagerato. Gli consegnò una scatola con tutte le fotografie scattate, e un paio di dvd con le riprese. Iniziando a piangere gli chiese scusa. Si vergognava tanto. Lorenzo lo abbracciò. Calmatosi, l’anziano gli consegnò anche la cravatta tagliata, raccontandogli di Rebecca Brone. Quanti soldi gli aveva spillato, approfittando di quella sua fissa per lui. C’era andato la prima volta, spiegandogli il suo desiderio di conoscerlo… senza ambiguità di sorta. Vedeva in lui suo figlio e da quel giorno la donna, se ne inventava una. Ogni volta a caro prezzo. “Che vecchio idiota sono stato! “, ripeté più volte l’anziano. Lorenzo provò un odio fortissimo per quella spregevole vicina. Si alzò, con l’intenzione di andare a casa sua per dirgliene quattro. Non avrebbe escluso di prenderla pure a schiaffi. Che l’avesse denunciato poi! Nicola, gli disse che Rebecca se ne era andata. L’aveva vista partire due sere prima. Di certo, capita l’aria che tirava, andarsene per un po’ le era sembrata l’idea migliore. Sapeva di un fratello in Provenza… forse era andata da lui. Lorenzo, pensò che comunque non l’avrebbe passata liscia. Prima o poi sarebbe dovuta tornare. Lui non aveva fretta. Nicola scherzando, disse che in fondo le sue magie erano andate a buon fine, visto che si erano conosciuti finalmente. Parlarono a lungo. Prima di andarsene Lorenzo, gli disse che per qualunque cosa avrebbe potuto contare su di lui. L’anziano gli strinse forte la mano, pieno di gratitudine. Era felice di non essersi sbagliato nei confronti di Lorenzo. L’aveva sempre ritenuto una persona buona. Tornato a casa, il regista vide la segreteria lampeggiare. Qualcuno aveva chiamato durante la sua assenza. Premette il tasto, e ascoltò il messaggio. Era Stefano. Il produttore voleva anticipare l’uscita del film. L’assassino che tutti cercavano, era uno dei protagonisti. Non potevano perdere l’occasione. Se fosse uscito sugli schermi troppo in là, tutta la faccenda sarebbe stata dimenticata. Lorenzo, pensò ancora una volta che Stefano non si smentiva mai. Ovviamente lui, non era affatto di quel parere, ma non aveva voglia di fare discussioni. Anzi, forse era meglio così. Ormai quasi odiava “Specchi Infranti”. Prima sarebbe uscito e prima sarebbe stato dimenticato. Richiamò il produttore, dicendogli che era d’accordo. L’altro non credeva alle sue orecchie. Era veramente Lorenzo Torri al telefono? Si accordarono per vedersi il giorno successivo e parlare con il responsabile della distribuzione. Salutato Stefano, si sedette in poltrona. Lo sguardo gli cadde su un vecchio album di foto appoggiato sopra una mensola. Ricordò che qualcuno glielo aveva chiesto la sera della festa, e non era stato rimesso al suo posto. Lo aprì con una stretta al cuore. C’erano i suoi genitori. Gli zii. Anna. Poi, altre foto varie con amici. Qualcosa che stava dentro l’album, scivolò in terra. Un ritaglio di quotidiano. Parlava dell’incidente in cui erano morti i suoi familiari, e la fotografia delle due macchine distrutte. Lesse il nome dell’altro ragazzo. Mario Paolucci. Mario? Il figlio di Nicola Morico si chiamava Mario. Un brivido gli attraversò la schiena. Era solo una coincidenza? Certo, il cognome era diverso, ma poteva per qualche motivo aver preso quello di sua madre. Oppure Nicola Morico, se nascondeva qualcosa, poteva aver utilizzato un nome falso. Certo, che gli assomigliava era vero. Aveva visto una sua foto. Scosse la testa. Stava cominciando a farsi delle paranoie. Fernando Rozzi era l’assassino. Quella povera ragazza l’aveva riconosciuto. Fe… stava dicendo il suo nome prima di morire. Comunque, paranoia o no, decise di chiamare il commissario Baldoni. Non era in ufficio. Chiamò al cellulare. Rispose la segreteria. Gli lasciò un messaggio.
Capitolo 47
Il giorno dopo, i dubbi che lo attanagliavano erano tutt’altro che svaniti. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno. Corrado si trovava già in ufficio. Ancora una volta la scelta, ripiegò su Gianni. L’amico fu subito disponibile. Poiché entrambi nella mattinata avevano degli impegni, fissarono l’appuntamento in un ristorante che conoscevano. Tre ore dopo, si trovavano l’uno di fronte l’altro a gustarsi un buon piatto di spaghetti all’amatriciana. “Sai Gianni…” iniziò Lorenzo, “ho paura che non sia realmente tutto finito”. “Che cosa vuoi dire?”, rispose il giovane restando con la forchetta a mezz’aria. “Penso che l’assassino non sia Fernando.” “Cosa?”. “Si… è così… c’è una cosa che non mi torna.” “Cioè?”. “Vedi Gianni… i problemi con lui, sono iniziati una quindicina di giorni dopo l’inizio delle riprese. In sostanza, tra i primi dissapori e l’omicidio di Simona, sono trascorsi una ventina di giorni. Tu in venti giorni circa, decidi di perseguitare una persona, mettere in piedi una ragnatela di paura così complicata da costruire e uccidere i suoi affetti più o meno cari. Improbabile non ti sembra?”. “Forse Lorenzo… non lo so. Mi lasci sinceramente interdetto. Considera però, che stiamo parlando di uno psicopatico”. Gianni si versò un altro bicchiere di vino, rimboccando quello del regista. “Se è come dici allora, il vero maniaco è ancora in circolazione… ne hai parlato con Baldoni?”. “Ancora no… ma gli ho lasciato un messaggio in segreteria, rivolto a un altro dubbio che ho.” ” Sarebbe?”. “Il ragazzo ubriaco, che anni fa uccise i miei genitori insieme con quelli di Anna, si chiamava Mario.” “Non capisco Lorenzo.” “Il figlio del mio vicino… quello che mi spiava… si chiamava anche lui Mario. Coincidenza? Per carità, ho parlato a lungo con quell’uomo e mi è sembrato una gran brava persona… ma il dubbio rimane.” “Vuoi sapere il mio parere su tutto questo?”. “Certo che voglio saperlo.” “Parti Lorenzo. Stacca la mente. Basta. L’assassino era Fernando. Stop. Ti stai solo facendo del male con tutte queste idee che ti metti in testa.” “Lo farò Gianni. Un bel viaggio in Egitto. Che ne pensi?”. “Ottimo! Brindiamo allora. All’Egitto!”. “All’Egitto.” Finirono di mangiare parlando di altre cose, quando Gianni lo sorprese facendogli una domanda. “Hai impegni nel pomeriggio?”. “No… niente d’importante… perché?”. “Senti… doveva essere una sorpresa, ma ho bisogno di un favore.” “Dimmi?”. “Ho comprato casa, e sto iniziando ad arredarla.” “Davvero? Che bello… e perché non ci hai detto nulla?”. “La mia intenzione era quella d’invitarvi a cena una volta sistemata, ma da solo non riesco a portare tutte le mie cose. Potrei anche farlo… ma solo per i libri, mi ci vorrebbero mesi”, disse ridendo. Furono interrotti dalla chiamata del commissario. Il dubbio di Lorenzo fu subito fugato. Baldoni aveva controllato i dati anagrafici dei due Mario e le rispettive foto, ma tranne il nome, non c’era nulla in comune. Anche il commissario consigliò a Lorenzo di rilassarsi. Chiusa la comunicazione il regista si rivolse all’amico con un sorriso. “Nessun collegamento fra i due Mario. Hai ragione tu Gianni. Basta. Questa brutta storia, si chiude ufficialmente qui! Senti riguardo a oggi? Che devi fare di preciso?”. “Volevo portare un po’ di cose… libri, piatti, cd… ho alcuni scatoloni già imballati… se andiamo con due macchine, riesco a portare parecchie cose.” “Okay Gianni… prendiamo un caffè e chiediamo il conto. Poi passiamo da te e prendiamo con calma tutte le tue cose… non vedo l’ora di vedere la tua nuova casa.”