TRAGICA NOTTE A LITTLE HOPE CAPITOLO 4

 CAPITOLO 4

 

Mitchell barcollando con la bocca bavosa emise un grido agghiacciante che fece sussultare Vernex, un grido che sanciva la sua autorità di capo che barcollando cercava di riunire in maniera ordinata quella schiera di zombi. Vernex strappato ai suoi pensieri aprì la porta della sua stamberga con in mano una torcia “eccolo! Ecco l’orrore lo sapevo! Ma perché proprio nel mio cimitero, perché?” Gli zombi si diressero verso la sua casetta e l’ultima cosa che Vernex vide furono decine di fauci che si avventavano frenetiche sulla sua carne.

“Signore e signori tutto è pronto per l’inizio della nostra gara fatemi sentire il vostro entusiasmo!” Williamson si sentiva il padrone della serata, portava con charme una giacca di velluto con pantaloni eleganti a righe, ed un orologio d’oro al polso. La risposta del pubblico fu abbastanza fiacca fatta di pochi applausi svogliati, fece una smorfia poi riprese: “Stasera Elvis è di nuovo fra noi cari amici! Ve lo assicuro io che sarà una bella lotta all’ultimo sangue… anzi all’ultima nota!” Seguirono altri applausi di bassa lega. L’ambiente non era molto affollato, George stava in seconda fila a braccia conserte aspettando di farsi qualche risata, due file più giù invece Howard si stava scolando una fiaschetta di whisky  come consolazione per essere stato licenziato qualche ora prima con una brusca sfuriata del signor Roger a telefono, Bill e Joe invece stavano sulla sinistra in quarta fila ridacchiando fra loro mangiando due pacchetti di chips. “Allora, vedo che siete carichi quindi direi di cominciare la nostra gara! Vediamo chi si porterà a casa i dollaroni!” Williamson se ne andò dietro le quinte dove una decina di Elvis chiacchieravano fra loro squadrandosi a vicenda per intuire chi fosse il migliore. Eric con la sua nuova chitarra parlava con un tizio di circa cinquant’anni acconciato tipo Elvis dell’ultimo periodo: basettoni, pancia enorme infuori, occhiali scuri cinturone con fibbia dorata “perché… vedi, l’importante secondo me è l’impostazione, entrare nel personaggio a fondo, capire un po’ anche la sua psicologia” il panzone gesticolava mentre parlava “si è vero, credo anche io…” rispose Eric “entrare bene nella parte è fondamentale, sai io ascoltavo i dischi di Elvis anche da bambino, poi cominciai da ragazzo con i vestiti, e la chitarra… alla fine è una passione, devi sentirlo dentro” “sì, è vero hai assolutamente ragione, figurati che a me le ragazze al liceo mi prendevano per il culo ma io non le stavo a sentire, anche mia madre si chiede come mai ogni anno partecipi a questa cosa” Eric gli mise una mano sulla spalla “ma è ovvio perché partecipiamo al concorso.. i soldi in palio!” Risero tutti e due mentre Williamson fece il suo ingresso.

“Allora giovanotti pronti?” I due sosia si scambiarono un’occhiata d’intesa “non ho mai sopportato Williamson è un pallone gonfiato” Eric replicò all’orecchio del grassone “faccia da telenovela di serie b” “fra quanto cominciamo?” Chiese uno nel mucchio aggiustandosi la giacca “adesso ragazzi via col primo” si fece avanti un tizio col ciuffo tirato su e degli stivali ben lucidati, Williamson lo guardò “buona fortuna ragazzo” il tizio oltrepassò i tendaggi e arrivò sul palco. Eric era il terzo a salire sul palco, così cominciò un po’ a scaldarsi camminando nervosamente su e giù per la stanza per alcuni minuti, poi si diresse verso la custodia ed estrasse la sua chitarra per accordarla.

Sul palco il primo sosia stava facendo la sua figuraccia, si muoveva impacciato fissando intimorito il pubblico, mentre nelle prime file se la stavano già facendo sotto dalle risate “questo è indecente” disse sottovoce George mentre sul palco il primo Elvis stava quasi per inciampare su di un cavo con un movimento maldestro, ma barcollando si riprese all’ultimo momento. Bill diede una piccola gomitata a Joe “visto che roba?” Joe annuì ridendo a crepapelle. Howard stava gustando lo spettacolo scolandosi il suo whisky “ma si ridiamoci su haha! Tanto da domani farò il barbone sotto un ponte” disse con voce strascicata in balia dell’alcool mentre il quasi cantante continuava a far ridere la sala intera, fuori la luna fissava la città dall’alto.

Amanda si era messa proprio al top: scarpe nere col tacco alto, camicetta blu di Vuitton con vistosa collana in oro sul davanti ed un paio di jeans attillati acquistati a caro prezzo. Se ne stava in attesa da un po’ quando vide un taxi che si avvicinava, alzò il braccio ed il taxi si fermò con una frenata brusca, afferrò la maniglia smaltata e lucida e si infilò nel veicolo. “Dove posso portare questa principessa?” La voce del taxista era strascicata e sembrava alterata, Amanda gli disse la via e lui ingranò subito la marcia; la brusca partenza fece schiacciare la ragazza sul sedile mentre fatti alcuni metri il taxi prese una curva in malo modo andando quasi a sbattere “hei ma come guida!” Amanda protestò “stia tranquilla signorina con me non si fanno ritardi nossignore”; il fiato gli puzzava di alcool e Amanda notò la bottiglia di Gin sul cruscotto.

“Ha bevuto per caso?” L’uomo sospirò “suvvia solo un goccetto, ne vuoi anche tu?” Con una mano prese la bottiglia e la porse alla ragazza “ma come ti permetti? Io non sono mica un’alcolizzata! Mi faccia scendere!” L’uomo accelerò di botto “eh no! Ormai è salita, lasci che la porti a destinazione” il taxista completamente ubriaco sfrecciò in Humprey Road oltrepassando le strisce pedonali a gran velocità e sfiorando un uomo che le stava attraversando, il quale imprecò ad alta voce, Amanda cominciò a urlare mentre i lampioni bianchi illuminavano la strada che al taxista sembrava piena di curve, anche quando era dritta come uno spillo. “Non preoccuparti bellezza siamo quasi arrivati” appena dette queste parole un rutto gli uscì incontrollato “lo sa che lei è un maiale! Che cosa disgustosa! Non si aspetterà che paghi la corsa vero?” “E perché non dovrebbe pagare? A giudicare da come è vestita i soldi non le mancano di certo” trattenne a stento un altro rutto, mentre svoltava in una via lunga e ben illuminata, dove una coppietta stava passeggiando. Dopo alcuni minuti una frenata brusca mise fine alla corsa “fanno dieci dollari bambola” Amanda tremava ed era allibita, non riusciva ancora a concretizzare nella sua testa l’idea di essere arrivata a destinazione sana e salva “tenga il resto e vada al diavolo!” Disse scendendo e chiudendo la portiera.

Il taxi ripartì subito lasciando le gomme sull’asfalto e l’insegna al neon del circolo “American eagles” troneggiava sopra Amanda “Ma… deve esserci un errore, il posto non è questo! Io dovevo andare al Colosseum!” Si guardò attorno spaesata “maledizione a Kimberly! Perché non mi ha ritelefonato? Adesso che faccio?” Si mise a sedere sul marciapiede e cominciò a frugare in borsa “accidenti a me! Ma dove ho messo il telefono?” Svuotò rapidamente il contenuto della borsa sul marciapiede facendo cadere i suoi rossetti, i confetti digestivi, alcuni assorbenti ed una serie infinita di cosmetici. Dopo essersi accertata di aver veramente lasciato a casa il cellulare rimise freneticamente tutto dentro “devo assolutamente trovare una cabina del telefono, mica posso passare la serata in questo cesso di posto” diede un’occhiata all’insegna del circolo con aria disgustata poi si alzò fulminea. Notò una cabina alcuni metri più avanti sull’altro lato del marciapiede, vi si precipitò infilando nella fessura la scheda telefonica, compose in fretta il numero del taxi “si pronto? Salve vorrei subito…” una voce metallica la interruppe: “siamo spiacenti di informare i gentili clienti che causa sciopero generale dei taxisti, il nostro servizio è sospeso a partire dalle ore ventidue e trentacinque” Amanda riagganciò guardando l’orologio che segnava le ventidue e trentanove.

Uscì dalla cabina sconfortata sbattendo la porta. Una volta tornata davanti al circolo pensò bene che la sua serata fosse ormai finita e che tanto valeva vedere cosa ci fosse lì dentro, semmai dopo sarebbe tornata nella cabina per avvertire suo padre di venirla a prendere. Appena aprì la porta dell’American Eagles uno sciame di risate la travolse, si guardò attorno spaesata in un ambiente che di certo non le si addiceva. Dietro le quinte Eric era pronto, carico e quando arrivò il suo turno fece un respiro profondo ed entrò in scena, Williamson gli fece cenno di avvicinarsi “Bene signori! Adesso è il turno di Eric vedrete che lui ci sa fare, non è così?” “Certamente” “bene allora ti lascio tutto il palco caro amico e buona fortuna!” Eric ringraziò e si mise la chitarra a tracolla. La sua esibizione cominciò ed Amanda decise di trovarsi un posto a sedere in terza fila “i just got your letter baby…” “ma cosa ci fa quel coglione vestito da Elvis?” Amanda si guardava intorno interrogandosi, notò poi lo striscione sopra il tendaggio “Elvis è tornato” Amanda scosse la testa “non devono proprio avere nient’altro da fare” disse a denti stretti mentre Eric faceva vibrare nell’aria le note della sua chitarra.

Nel cimitero di Vernex ormai il silenzio regnava sovrano, le tombe erano tutte scoperchiate, il terreno corrotto aveva ormai già dato i suoi frutti, il gruppo di morti viventi si era spostato verso il centro città, superando il cancello del cimitero, in testa alla maleodorante truppa c’era sempre Mitchell. Quando furono sulla strada principale un maggiolino bianco con a bordo tre amici sfrecciò accanto agli zombi “hei avete visto?” Disse il guidatore sorridendo “si sono truccati molto bene, sicuramente vanno ad una festa in maschera, devono aver passato delle ore ad acconciarsi così” disse uno dei due ragazzi seduti dietro, bevendo a piccoli sorsi da una lattina di Coca “dai ragazzi decidiamo dove andare altrimenti la serata diventa un mortorio!” Disse l’atro dietro vicino al finestrino” il guidatore allora sorrise accelerando leggermente e tenendo lo sterzo con una mano. Mattew il guidatore si frugò velocemente in tasca “guardate qui ragazzetti! Ho risolto la serata!” Andrew e Sid scattarono avanti tendendo le orecchie come se avessero ricevuto un ordine da un generale “cacchio ma questi sono tre biglietti per il Colosseum! Come hai fatto a procurarteli Mattew?” Il ragazzo sospirò ironico “ho le mie piccole risorse miei cari” Sid l’abbracciò “bravo, almeno una volta tanto ci divertiremo da matti, vedrete che belle ragazze ci aspettano!” I tre allegramente continuarono la loro corsa verso il locale, mentre gli zombi dietro di loro avanzavano terrificanti.

Eric aveva sciolto la tensione iniziale che lo attanagliava ed aveva preso confidenza col pubblico e con il palco, stonato come una campana continuava a martoriare le orecchie dei presenti, George intanto decise di alzarsi e andare a bere qualcosa, arrivato al bancone ordinò un’acqua tonica con una fettina di limone che il barman tagliò con precisione chirurgica. “ci voleva proprio” disse buttando giù metà bicchiere in un solo sorso posando poi il bicchiere sul bancone “vorrei un tropical sun” disse Amanda al barman cha la guardò un po’ storto “come scusi?” Amanda si stava già irritando a causa dell’ambiente troppo alla buona per i suoi raffinati gusti “Ho detto tropical sun è sordo per caso?” Il barman si grattò la testa “cosa sarebbe?” Amanda capì che non era il posto per certi cocktails e decise di ripiegare su un semplice Martini. George osservò la giovane e si chiese cosa ci facesse li in quella serata da idioti e perditempo “beh? Che c’è da guardare?” Disse Amanda a George “Ma come ci scaldiamo subito! Mi stavo semplicemente chiedendo cosa ci facesse in questo postaccio, le piace la musica di Elvis per caso?” Disse ironico il pensionato Amanda scosse la testa “no sarei dovuta essere da tutt’altra parte” George la squadrò e notò che era molto carina, ma un po’acida nei modi.

Intanto dietro le quinte Kevin, il tizio che avrebbe dovuto esibirsi dopo Eric si stava asciugando la fronte imperlata di sudore maledicendo quella dannata pillola che aveva preso un’ora prima, dopo qualche minuto si accasciò su una sedia di legno con la testa che gli girava a più non posso. “Hei! Kevin tutto ok? Non hai una bella cera” disse Williamson avvicinandosi in fretta e posandogli una mano sulla fronte “mi sembra che scotti un po’ forse hai qualche linea di febbre” l’uomo imprecò con una smorfia sul volto “deve essere stato quel medicinale per dimagrire che ho preso un’ora fa, il dottore me lo aveva sconsigliato ma io non gli ho dato ascolto” disse sganciandosi il cinturone stretto in vita “ma dopo toccherebbe a te! Ce la fai a salire sul palco?” “Non credo proprio signor Williamson, accidenti! Ero bello carico come un fucile, sono due mesi che provavo ma non ce la faccio proprio mi sento a pezzi” Williamson scosse la testa “come faccio adesso? La scaletta delle esibizioni dovrà subire una variazione, ora c’è un buco di venti minuti” l’organizzatore riflettè in fretta.

Williamson si diresse verso il lato destro del palco cercando di attirare l’attenzione di Eric “hei! Quì! Guardami!” Eric non riusciva a sentirlo, si frugò allora in tasca, estrasse un accendino ed alzò il braccio roteandolo Eric, allora posò gli occhi su di lui e si chiese cosa diavolo volesse “devi suonare per altri venti minuti!” Gli urlò Williamson, Eric fece una smorfia e scosse la testa l’uomo allora si diresse al bancone e si fece dare un grosso foglio di carta dal barista dove scrisse a caratteri grandi “devi esibirti per altri venti minuti, l’altro si sente male” finito di scrivere andò verso il lato destro della penultima fila di spettatori e srotolò il foglio, Eric aguzzando la vista lo lesse “wow la fortuna è dalla mia parte stasera, mi è andata proprio di lusso” pensò, fece un cenno di intesa con la testa mentre Williamson gli mostrò il pollice in segno di ok.

I vampiri erano arrivati adesso in città, Ukras fremeva per la sete di sangue che aveva in corpo e fece cenno all’orda di vampiri di fermarsi “fratelli! Adesso comincia il massacro degli umani dividiamoci in due grandi gruppi e seminiamo il terrore!” La prima fila di vampiri mostrò i canini, più avanti c’era un benzinaio, la sua scritta rossa al neon brillava nella notte “il primo gruppo venga con me, è ora di fare le nostre prime vittime!” Il secondo gruppo si era già allontanato, alcuni correvano altri volavano, poco dopo la bestia alata sfrecciò minacciosa in cielo con le sue ali membranose “fratelli! Il grande pipistrello ci aiuterà nella nostra grande opera, con lui sarà più facile” “avete fatto bene a liberarlo!” Gridò un vampiro alto e robusto che indossava un mantello grigio ed aveva una pallida faccia squadrata con due occhi neri e infossati, Ukras annuì poi partirono all’attacco.

Nella piccola stazione di servizio un signore di mezza età fissava lo schermo di un piccolo televisore che proiettava una partita di baseball “che lancio! Questo sì che si chiama un Home run!” Disse sobbalzando sulla sedia “home run?! Ho sentito bene?” Disse il garzone di ventidue anni, mentre girato di spalle rimetteva dei pacchi di merendine sullo scaffale “sì ragazzo hai sentito benissimo, stasera i nostri gli fanno il mazzo a quei bifolchi” la porta si aprì col suono del campanello elettronico. Entrò un tizio con una camicia a quadri rossa e bianca e una folta barba “buonasera” “sera” rispose il proprietario staccando gli occhi dalla partita, l’acquirente si guardò intorno per un attimo poi si diresse verso le birre, afferrando un pacco da sei e dirigendosi in seguito alla cassa. “Dunque, sono sei dollari” disse il proprietario mettendosi gli occhiali, il tizio tirò fuori dalla tasca un portafogli nero un po’sgualcito “avrei voluto guardare anch’ io la partita, ma quel lavoro di merda che faccio non me lo ha permesso, come andiamo?” “Alla grande, stiamo vincendo” disse il proprietario indicando lo schermo, l’uomo sorrise buttando i dollari sul tavolo, il proprietario frugò nel registratore di cassa dandogli il resto. Il garzone del negozio sembrava pietrificato, fissava qualcosa oltre la vetrata del negozio ed il proprietario lo guardò a sua volta chiedendosi cosa avesse attirato la sua attenzione, anche l’uomo con le birre sembrava improvvisamente turbato, allora anche il proprietario si voltò.

I vetri andarono in mille pezzi spargendosi sul pavimento, il proprietario tremante riemerse timidamente da sotto il bancone mentre il ragazzo si reggeva tremante allo scaffale, “ma cosa sta succedendo…” disse l’uomo delle birre fissando la fila di vampiri dallo sguardo minaccioso. Ukras fu il primo a mettere piede nel negozio, i suoi occhi trasudavano odio “indietro! Cosa volete? Chi siete?” Il proprietario era paonazzo in volto, estrasse un coltello da un cassetto sotto al bancone e lo puntò a Ukras, gli altri vampiri erano quasi tutti entrati nel negozio attraverso i vetri sfondati, il vampiro con uno scatto afferrò la mano armata del proprietario e la strinse forte, dopo un gemito il coltello cadde a terra. Il proprietario del negozio urlò di terrore quando Ukras affondò i canini nella sua giugulare l’uomo cercava di dibattersi afferrando le mani gelide del vampiro, ma la sua morsa d’acciaio non cedeva di un millimetro, dai lati gli altri vampiri si avventarono sull’altro uomo e sul ragazzo, il proprietario aveva smesso di lottare, sembrava un fantoccio nelle mani di un tenebroso burattinaio, Ukras con la bocca sporca di sangue lo gettò a terra con disprezzo. In tre tenevano il ragazzo, uno affondò le zanne nella sua gamba lacerando i jeans, un altro tenendogli le braccia lo azzannava avido alla gola ed un terzo lo azzannò alla testa facendogli perdere conoscenza. L’uomo con le birre lottò come un leone dibattendosi a più non posso “via maledetti via!” Gettò il pacco di birre in faccia ad un vampiro che indietreggiò leggermente, ma un altro con un salto lo scavallò prendendolo poi da dietro “lasciami!” Il vampiro alto e robusto vestito con una camicia in pizzo nera lo dissanguò.

Il pavimento del piccolo negozio era diventato in un lampo un mattatoio, il sangue era sparso ovunque, un vampiro con una camicia rossa ed i capelli acconciati a coda di cavallo, stava leccando il sangue sparso per terra “bevete amici, saziatevi col sangue degli umani!” Ukras spostandosi di lato si trovò sotto il manifesto pubblicitario al muro di una bibita, che ritraeva un bambino sorridente che beveva, il contrasto fra l’oscura figura reale e il disegno era nettissimo.

L’insegna al neon del circolo “American Eagles” si rifletteva sulle facce putrefatte dei morti, fuori non c’era nessuno, l’aria era fresca ma corrotta nel raggio di dieci metri dal nauseante tanfo di marcio. Attratti dal rumore che proveniva dall’interno cominciarono ad avanzare lentamente, finchè le mani corrose dal tempo afferrarono la maniglia della porta principale. “With a dollar in my hand…” Eric aveva quasi finito la sua esibizione, quando le figure marce fecero irruzione. La porta principale si aprì con un lieve cigolio, sovrastato dal volume della musica, per una ventina di secondi nessuno si accorse delle mostruosità appena arrivate, dato che il pubblico era tutto rivolto verso il palco, solo il barman poco dopo si accorse dei nuovi ospiti. Il barista stava dietro al bancone lucido con un boccale in mano da pulire, i suoi occhi altalenavano fra il palco e la clientela al bancone un morto arrivò al margine del bancone digrignando le mascelle emettendo un suono tipo quello di un cane che ringhia. Con la coda dell’occhio il barista si accorse che qualcuno si era messo davanti al bancone “salve cosa des…” le parole gli morirono in bocca, ed il tanfo di carne putrida gli bruciò le narici “Ahh! Via! Che schifo!” Barcollando all’indietro andò a sbattere contro la grande fila di bottiglie di alcolici che stavano dietro di lui mandandone diverse in frantumi.

Il trambusto attirò l’attenzione delle ultime tre file di spettatori che si voltarono incuriositi dal rumore di vetri infranti, le facce che fecero alla vista dei nuovi arrivati furono grottesche, sui loro volti si dipinse quell’orrore che mai avevano visto, e che mai avrebbero pensato di vedere. Una ragazza con un giubbotto di jeans ed i capelli scuri a caschetto svenne cadendo a terra come un sacco di patate, Eric cominciò a balbettare sul palco “and the s..uu..nn..alw..ay..s..” smise di cantare e d’istinto si tolse la chitarra di dosso impugnandola al contrario come fosse una clava. Amanda fu assalita da conati di vomito alla vista di quelle schifezze ambulanti, poi passò alla fase dell’attacco di panico urlando e correndo a casaccio fra la gente. Urla, imprecazioni, bestemmie, avevano preso il posto della musica nella sala, Eric adesso somigliava di più ad un uomo di Neanderthal, al posto della mazza aveva però una scintillante chitarra, “aiuto! Qualcuno mi aiuti!” Era la voce di Amanda, Eric si guardò attorno, appena in tempo per individuare la ragazza, prese la rincorsa, roteò il busto e come un battitore di baseball accoppò con un colpo frontale la minaccia che si stava per impadronire delle carni della giovane.

Lo zombi fini a terra con un rantolo “tutto ok?” Amanda non riusciva più a parlare, la prese allora per le spalle scuotendola “sì accidenti… tutto ok” si strinse ad Eric come fosse l’ultimo uomo sulla terra, Bill intanto stava cercando di fuggire all’esterno con Joe che tremava come una foglia, alcuni zombi stavano massacrando un tizio sovrappeso scaraventandolo su un tavolo e facendo banchetto con le sue viscere, una signora invece stava opponendo una debole resistenza ad altri due, finchè non fu addentata ad un braccio da un morto vivente dai denti verdastri e dalle orecchie gremite di vermi, lo zampillo di sangue finì contro il freezer dei gelati dipingendo figure astratte di emoglobina.

Joe correva a perdifiato verso l’uscita di emergenza a fianco di Bill, ma d’un tratto si vide il pavimento arrivare in faccia, una mano aveva fermato bruscamente la sua corsa. “Joe no!” Bill non sapeva più che fare Joe era finito in terra e il fu Harrison Mitchell gli affondò i denti su una guancia staccandogli un pezzo di carne dalla faccia, il sangue colava copioso ed incontrollato sugli abiti del ragazzo. Bill afferrò un pesante posacenere da un tavolo vicino, caricò il braccio e con le lacrime agli occhi lanciò l’oggetto che finì incrinandosi sulla testa del mostro, “questo non dovevi proprio farlo ragazzino, non disturbarmi quando mangio” il cervello putrefatto di Harrison avrebbe potuto formulare un pensiero del genere se non avesse smesso da anni di funzionare, comunque sarebbe stato un pensiero coerente per uno zombi, che adesso, alzata la testa fissava con odio il ragazzino.

Bill si sentì sollevare, come se una gru lo avesse improvvisamente preso da terra, il colletto della sua camicia era tirato da una forza estranea ma umana, amica forse, perché lui nonostante il dolore voleva vivere, voleva rivedere i suoi genitori, scherzare con mamma, avrebbe voluto crescere ed andare magari al college, dove avrebbe conosciuto nuovi amici, si sarebbe ubriacato, avrebbe giocato a football ed invitato le ragazze pon pon a uscire la sera. “Forza ragazzo muoviamoci ad uscire da questo casino” la voce di Eric gli sembrò un’ancora di salvezza che lo riportava alla realtà quando aveva ancora gli occhi fissi sul suo amico massacrato. Il trio composto da Amanda, Eric, e Bill si guardava intorno in cerca di una via d’uscita, “Via bestiacce via! Aiuto! Qualcuno mi aiuti!” La voce di Howard giunse alle orecchie di George che si era appena divincolato dalla presa di una delle creature, voltandosi il pensionato vide il venditore difendersi alla meno peggio dall’attacco di due mostri facendosi scudo di un tavolino tondo a quattro zampe, una delle quali si era staccata e conficcata nella pupilla dello zombi a sinistra.

George prese dentro di sé tutto il coraggio occorrente e dopo un bel respiro si gettò all’attacco “hei! Qui! Dai venite a prendermi schifosi!” George tentò disperatamente di attrarre l’attenzione degli zombi lontano da Howard, ed in quel millesimo di secondo in cui distolsero lo sguardo Howard mollò il tavolino e corse verso George “che facciamo adesso?” “Non chiederlo a me amico” disse George sconfortato. Ormai il gruppetto di Eric e gli altri due erano fra i pochi rimasti in vita, considerando che le uniche voci umane rimaste si stavano spegnendo vicino alla porta dei cessi, dove due ragazzi erano accerchiati dai mostri, uno dei ragazzi gli mollò un calcio all’altezza dello stomaco, ma non servì a niente, il morto lo prese per il piede e lo fece rotolare a terra e dopo aver lacerato la sua camicia scavò un varco nel suo sterno, con la mano conficcata in cerca di un prelibato boccone. Le urla del giovane erano disumane, poco dopo lo zombi estrasse il cuore pulsante, se lo avvicinò alla bocca divorandolo, l’altro cercava di colpire con i pugni il suo assalitore, la scena sembrava tratta da un incontro di pugilato di infima serie, i colpi del giovane non davano particolarmente fastidio al mostro, che ne schivò alcuni prima di sollevare i giovane prendendolo al collo e scaraventandolo sul vetro del flipper che andò in frantumi.

Il muro adiacente si tinse di rosso: “Win! Win! YOU ARE CHAMPION” indicava il tabellone del gioco ormai andato in tilt, mentre la bocca del morto affondava fra le viscere del malcapitato divorandone l’intestino. Altri zombi si stavano ricompattando e adesso osservano il gruppo di Eric con odio, con uno scatto istintivo George ed Howard corsero verso di loro “aiutateci! Dobbiamo stare uniti!” Gli urlò Howard appena giunto davanti a loro “p…piacere…mi chi…amo…A…ma..n…nda” gli ci volle un secolo per pronunciare il suo nome, George la guardò stupefatto capendo che il cervello della signorina era in stato confusionale “muoviamoci ci dannazione! Dobbiamo trovare una via d’uscita, ed al più presto!” “Laggiù, rompiamo la vetrata della finestra!” Howard indicò ai compagni delle pesanti sedie “presto! Presto!” Eric fece segno ad Howard e George di seguirlo. Amanda tremante balbettava “arri…va…n…n…-o, ec…c…oli” i tre uomini sollevarono fulmineamente le sedie e dopo aver preso la mira le scagliarono sui vetri dove poco dopo cominciò a filtrare la fresca aria notturna “Fuori tutti seguitemi! Ho un furgone parcheggiato qui nei dintorni!” George aiutò Amanda ad uscire per prima “attenti non vorrei rovinarmi il vestito” George non badò al suo commento superfluo ed aiutò Bill ad uscire.

Il gruppo cominciò a correre evitando di guardarsi alle spalle. Le facce degli zombi rimasti all’interno del circolo, quasi si interrogavano su come avessero potuto farsi sfuggire dei bocconi così freschi e prelibati come quelli. Tuttavia se gli zombi avessero curiosato nei camerini dietro le quinte avrebbero scovato il signor Williamson e gli altri sosia che avevano assistito di nascosto al massacro “forse siamo salvi, se continuiamo a stare buoni e zitti probabilmente fra poco se ne andranno” disse sottovoce Williamson agli altri sette Elvis rimasti compreso Kevin che ancora accusava dolori.

“Che facciamo quando se ne vanno?” Disse uno dei partecipanti schiacciato al muro dalla paura come fosse una statua in un museo “direi di precipitarci subito nell’ufficio dello sceriffo” “si ok Kevin, e cosa gli raccontiamo? Eh? Salve signor sceriffo, siamo scappati da un gruppo di morti che ci ha assalito mentre cantavamo allegramente le nostre canzoni con i nostri giubbotti con le frange sa, ci servirebbe una mano per sparare a quei cosi, e tu pensi che ci crederebbe?” Kevin si alzò un attimo per sgranchirsi le gambe nonostante la febbriciattola e la stanchezza “allora tu caro Ramsey cosa diresti di fare? Stare sempre chiusi qua dentro mentre quei mostri distruggono la città?” “Il fatto è che me la sto facendo sotto dalla paura, ecco qual è il problema” disse Ramsey sfiorando con la punta delle dita le frange del suo giubbotto sull’avambraccio sinistro. “Williamson ha ragione, aspettiamo finchè non se ne vanno, poi decideremo il da farsi” disse Arthur tremante; Williamson fece un lieve cenno di assenso con la testa continuando a sbirciare dalla fessura del tendaggio osservando cosa facevano i mostri.

Gli zombi che prima erano alla finestra adesso si erano lentamente spostati al centro della sala, intorno a loro c’era una macabra cornice di cadaveri malridotti, un gruppetto di tre stava mordicchiando quello che ormai era solo uno scheletro con qualche brandello di carne rimasto attaccato alle ossa, un altro con atteggiamento infantile stava giocherellando con un teschio passandoselo da una mano all’altra, uno invece strisciò per qualche minuto la lingua sulla vetrata dei panini prima di mandarla in frantumi con un pugno ben assestato, nel quale rimasero conficcate varie schegge.

Ramsey camminava in silenzio per il camerino osservando di tanto in tanto una cartina geografica della California pensando a sua nonna che ci era nata. In California lui ci era stato tre volte, una delle quali con la sua famiglia, ad agosto tanti anni fa. Si ricordò del sorriso dell’anziana donna, rivide i luoghi della sua infanzia, la casa sulla collina che ora era stata affittata, e il lago più distante in cui si recava spesso in compagnia di alcune amiche di scuola. Ramsey venne distratto dai suoi ricordi da uno scricchiolio proveniente dalla sedia su cui era sistemato Kevin che si stava alzando per sgranchirsi un po’ “se ne sono andati?” Chiese Arthur a Williamson che rispose negativamente con un filo di voce “porca vacca non ne posso più di stare chiuso qua dentro, mi manca l’aria, sapete che soffro di claustrofobia?” Disse Donald sganciandosi la pesante cintura con la faccia di Elvis incisa sulla fibbia. Donald avrebbe dovuto esibirsi dopo Ramsey, ed a quest’ora se non fosse scoppiato il macello sarebbe già a casa davanti al televisore a sorseggiare una birra. Donald era un tipo molto abitudinario un po’pigro, abitava sulla trentasettesima strada, non lontano dal bowling dove di tanto in tanto andava a farsi qualche partitella, insieme a qualche amico, a volte lo accompagnava anche Arthur che ci andava perché gli interessava la cassiera bionda che di tanto intanto gli regalava qualche sorriso malizioso, nel quale lui aveva rimesso numerose speranze. “Hei Kevin, come ti senti? Lascia che te lo dica amico non hai una bella cera” disse Paul che da quando erano nascosti là dentro non aveva aperto bocca Kevin non rispose, ma non per maleducazione, ma perché la stanza per lui era divenuta una giostra da luna park, con più curve di un rollercoaster.

Paul continuava ad ossevarlo masticando un chewing gum preso da un pacchettino argentato che teneva nel taschino della giacca, notò che Kevin aveva un’andatura un po’ barcollante che forse non lasciava presagire niente di buono, pensò per un attimo alla situazione: un gruppo di scemi vestiti come Elvis nascosti in un camerino per non farsi sbranare da dei morti cenciosi e puzzolenti. Gli venne da ridere, ma il sorriso che gli si dipinse sulle labbra era sghembo, e pensando ai possibili sviluppi della situazione si mise le mani sulla faccia passandosele poi sui capelli. Brandon invece parlava sottovoce con Arthur che lo ascoltava con attenzione “da dove pensi che vengano quei cosi?” “Non ne ho idea, ma se non si tolgono di qui sono guai seri, non possiamo restare in eterno chiusi qua dentro, dobbiamo assolutamente trovare una via di fuga” “già…ma dove? E come?” Brandon continuava ad interrogarsi su una possibile scappatoia, mentre Williamson distolse per un po’ lo sguardo dalla fessura tornado a voltarsi verso gli altri.

Quello fu l’inizio del panico, l’inizio della fine, il punto di non ritorno. Kevin cadde all’indietro colpito da un infarto fulminante, andando a sbattere contro un vaso contenente dei ridicoli fiori finti che si infranse sul pavimento “oh merda…” disse Williamson immaginandosi quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Il rumore arrivò dritto alle orecchie degli zombi che smisero di trastullarsi con i cadaveri, speranzosi di trovare nel punto da dove sembrava avesse avuto origine il suono, un pasto delizioso. “Siamo fottuti ci avranno sentito!” Disse Brandon mettendosi le mani nei capelli “calmi! Calmi! Magari non si sono accorti di nulla, magari se ne staranno li buoni a mangiarsi quel che resta della gente” disse Arthur poco convinto, sapendo in cuor suo che sarebbe andata diversamente “cazzo, Kevin ci ha lasciati! Ma ci Ha lasciati anche nella merda!” Disse Donald disperato. “Calma! Calma! Non facciamo previsioni avventate, fatemi vedere che combinano quei. Mostri poi…” ma non appena Williamson guardò attraverso la fessura non vide altro che l’occhio d’ un morto che si opponeva al suo e lanciò un grido acuto, e lo zombi spalancò il tendaggio del camerino seguito dagli altri.

Williamson indietreggiò istintivamente, mentre Paul smise di masticare il chewing gum ingoiandolo all’istante e Donald cominciò a tremare, mentre gli zombi facevano a pezzi il tendaggio lacerandolo. Penetrarono nel camerino, braccando Williamson che in preda al panico perse la ragione in una lunga risata isterica, quando un secondo dopo uno zombi gli fracassò il cranio con un pugno estraendo pezzi di cervello ficcandoseli in bocca, “eccoli! Eccoli! Aiuto!” Strillò Brandon cercando di scansarne due che gli stavano per saltare addosso. Paul afferrò una statuetta sul mobile, e la lanciò come un dardo contro il mostro che gli si parò davanti, la creatura barcollò per qualche istante e Paul tentò di superarla riuscendo quasi a uscire dal camerino, quando una mano putrida gli acchiappò la faccia premendo come una morsa d’acciaio, Paul sentiva la tremenda pressione delle dita e cominciò a sentire il sangue colargli sulla faccia verso il basso, la presa si fece sempre più salda e le ossa scricchiolarono fino a frantumarsi, anche Paul era andato.

Ramsey con una mossa da far invidia ad un giocatore di football professionista si gettò con tutto il suo peso sul corpo del mostro che era quasi arrivato a toccare Brandon, “dobbiamo uscire di qui!” Disse Ramsey rialzandosi a Brandon che riemerse dal suo torpore avvicinandosi in fretta all’amico, “sono troppi non ce la faremo mai!” Urlò Arthur che con una serie di pugni ne aveva mandati al tappeto due “Arthur vieni qua! Dobbiamo stare uniti!” Arthur raggiunse correndo i suoi amici all’angolo della stanza, sembravano un gruppo di pugili stretti all’angolo dal gigante golia all’ultimo round. “Ahh!” Improvvisamente l’urlo di Donald lacerò le orecchie degli atri. Un mostro lo aveva braccato, lui cercava di divincolarsi, “Donald! Vieni via di lì!” Ma l’esclamazione di Arthur non servì a niente, Donald notò un tagliacarte d’argento sulla mensola, e tenendo a bada il mostro serrandolo per la gola allungò la mano. L’oggetto era liscio al tocco e un po’ freddo, la mano tremante di Donald lo strinse più forte e lo conficcò nella gola del mostro che emise un grugnito, la creatura lo guardò con disprezzo impugnando il manico del tagliacarte estraendolo dalla sua gola. Con un’abilità e velocità sorprendenti, la creatura rispedì il coltello dritto a Donald, il suono secco del coltello che si conficcava spietato nel suo petto fu come una sinfonia di morte, suonata da un organo scassato per gli altri.

Donald cadde a terra e una macchia rossa si fece largo sulla sua camicia come un lago ricolmo di sangue che straripa “Niente da fare moriremo tutti!” Disse Arthur in preda alla disperazione più nera: altri pugni, altri zombi, era un assedio bello e buono, loro erano rimasti in tre, una gran brutta situazione del cavolo. Un vecchio televisore ancora funzionante se ne stava su un ripiano in legno, uno zombi stava esaminandolo come fosse un oggetto magico, o forse si ricordava vagamente a cosa gli serviva quando era in vita: ricordi vaghi, confusi, le dita scorrevano sul vetro, tastando poi l’antenna argentea e lucida che si issava da dietro come una spada. Qualche istante dopo quando i tre si davano per spacciati la voce di John Wayne arrivò in maniera surreale alle loro orecchie “sei finito gringo!” Seguirono una serie di spari nel far west. Udendo quei suoni gli zombi si fermarono e si voltarono a guardare lo schermo, un bandito col fazzoletto rosso al collo cadde a terra “ma cosa…” Arthur non ci capiva più niente, vedeva solo che gli zombi avevano cambiato l’oggetto della loro attenzione “dammi un brucia budella amico” il barista sullo schermo lanciò il bicchiere sul bancone facendolo strisciare fino alla mano del cowboy. Gli zombi osservavano lo schermo quasi in trance, alcuni con passo malfermo si avvicinarono alla tv fino ad arrivare faccia a faccia con Wayne “è ora di dare una lezione ai Sioux, carichiamo i fucili nella carovana!” Wayne impartiva orini nel film, e gli zombi cominciarono a voler far uscire la sua faccia dallo schermo per mangiarsela, le mani putride affollarono in fretta il vetro cercando invano di afferrarlo.

I tre si guardarono per un secondo, giusto il tempo perché Brandon potesse prendere in mano la nuova situazione favorevole “ora usciamo! Abbiamo poco tempo!” Ramsey ed Arthur non se lo fecero dire due volte e seguirono Brandon fuori dall’inferno del camerino. Arthur uscendo si voltò per l’ultima volta, giusto il tempo di vedere i morti cominciare a prendere a calci il televisore con rabbia, non riuscendo a mangiarsi qualche cowboy “ottima mira sceriffo!” La voce di Wayne era ormai sommersa da grugniti e suoni indefinibili che uscivano dalle bocche dei cadaveri ambulanti, una volta fuori la sala li accoglieva malmessa, sedie rovesciate, cadaveri mangiati, teste staccate, vetri rotti ed un senso di morte palpabile nell’aria.

Corsero verso l’uscita cercando tutti e tre di aprirla “calmi calmi! Altrimenti non usciamo vivi da qui!” Brandon cercava di dare ordine alle quattro mani che disperatamente cercavano di aprire la porta “Bloccata! Quegli schifosi l’hanno bloccata!” Disse Ramsey con il battito cardiaco accelerato “laggiù la finestra! Qualcuno l’ha sfondata, usciamo da lì”. Arthur invitò con un cenno della testa gli altri a seguirlo, i tre cominciarono a correre, Brandon era il più veloce e fu il primo ad uscire seguito da Ramsey “dai Arthur andiamocene!” Disse Brandon sollecitando l’amico ad essere il più rapido possibile. Lo zombi che nessuno aveva notato e che non aveva seguito gli altri nel camerino (preferendo continuare a godersi la carne di un quarantenne obeso che aveva afferrato durante il trambusto) notò l’appetitosa gamba che stava scavalcando la finestra, mollò il cadavere divorato senza vita e camminando a carponi arrivò ad afferrare la gamba di Arthur “ma cosa…” Arthur guardò con la coda dell’occhio alle sue spalle “ahh! Che schifo! No! Tiratemi fuori!” Lo zombi gli staccò un pezzo di carne dalla gamba prima che riuscisse a fuggire. Ramsey trascinò fuori Arthur “ahh! La mia gamba!” “Forza tiriamolo su” i due lo presero di peso e lo portarono con loro “ce la fai amico?” “La mia gamba!” Brandon gli mollò un ceffone per farlo riprendere “dai amico forza, dobbiamo andarcene da qui, io direi di raggiungere lo sceriffo” “sì andiamo, dobbiamo informarlo di questo merdaio” disse Ramsey alzando gli occhi al cielo, la luna era alta e splendente.

Quando Mattew, Andrew e Sid entrarono al Colosseum tirarono un sospiro di sollievo, avevano fatto la fila per quasi due ore, ma appena sentirono il ritmo della musica e l’atmosfera elegante che regnava all’interno pensarono all’unisono che ne era valsa la pena. Il locale era molto grande, c’erano dei divanetti bianchi e neri alternati sui quali sedevano coppie sorridenti e ben vestite, sul fondo si intravedeva la consolle dei DJ che si alternavano a proporre brani alla moda da hit parade. Il bar offriva di tutto a prezzi carissimi, la prima consumazione era esclusa dal biglietto di ingresso, sugli sgabelli altissimi, imbottiti di piume, erano adagiati tipi in giacca che sorseggiavano alcolici di vario tipo, un megalomane teneva pure gli occhiali da sole e fumava un sigaro cubano buttando fuori grandi boccate di fumo come fosse un drago di una leggenda medievale. Sid si lanciò subito in pista “forza ragazzi è la nostra serata” disse dimenandosi al ritmo della musica Mattew lo seguì e cominciò a ballare mettendosi vicino ad una biondina in compagnia di un’amica vestita con un abito rosa “wow ragazzi che sballo!” Disse Andrew ammirando lo spettacolo. Al bancone insieme al suo boyfriend c’era Kimberly vestita con un abito nero attillato che le lasciava scoperte le spalle “com’è bello stasera il mio Alex!” Il ragazzo gonfiò i pettorali lasciati intravedere dalla camicia sbottonata “grazie cara, cosa potrei desiderare di più stasera? Un bel posto, bella gente, e tu…” la ragazza gli sorrise sorseggiando un bicchiere di champagne.

Alex si avvicinò al bancone “mi dia un martini con ghiaccio” il barman si mise subito all’opera prendendo i cubetti dal contenitore, poi mise il bicchiere sul bancone “ecco qua signore” Alex prese il bicchiere e posò i soldi sul bancone, “tenga il resto” il barman fece un cenno di ringraziamento infilandosi alcune banconote in tasca. Kimberly lo abbracciò di nuovo accarezzandogli la schiena “sai mi piacerebbe sapere perché Amanda non mi ha più telefonato, strano… non è da lei” “perché, non ti basto io stasera?” Disse il ragazzo con un sorriso beffardo che gli si allungava mentre sorseggiava il suo drink, la mano di lei si posò sulla guancia di lui “si stupidone, mi sembra solo strano che si sia comportata così”, i due si avvicinarono e si baciarono appassionatamente.

Eric guidava nella notte con il suo furgone ed Amanda seduta dietro si era un po’ calmata “è stato tremendo, abbiamo avuto fortuna a non lasciarci le penne” disse Eric svoltando ad una curva “non la ringrazierò mai abbastanza signore” disse timidamente Bill, “caro amico, è stato un piacere, non devi ringraziarmi, anzi qualcuno di voi sa dove stiamo andando? Scappare senza una meta non ci servirà a molto” disse Howard pensieroso. Eric fermò il furgone in uno spiazzo poco più avanti “sicuramente la cosa non sarà passata inosservata, qualcuno avrà avvertito le autorità” disse George tenendo una mano sulla spalla di Bill che intervenne: “io direi che la prima cosa da fare è procurarci delle armi, non possiamo farci trovare disarmati contro quelle mostruosità, cosi se si ripresentano…” Howard mimò con le mani un colpo di fucile e sorrise “sì spariamogli ragazzi dobbiamo farli a pezzi!”, Amanda sbottò: “mio dio! Se penso che adesso dovevo essere al Colosseum ed invece mi ritrovo in questo furgone…” “questo furgone ci ha salvato le chiappe non dimenticarlo” disse Bill guardandola male “giusto ragazzo!” Intervenne Eric che continuò “E adesso direi di andare in un bel posticino dove troveremo sicuramente delle cose molto interessanti” Eric riaccese il motore e mise la prima “e cosa sarebbe questo posto?” “Il negozio del vecchio Henry sulla trentacinquesima” disse Eric. (CONTINUA…)

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